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Un ghiacciaio avventuroso

Il GGG argentino

«Ti mando in Patagonia!» diceva mio padre quando combinavo qualche guaio, e io pensavo che la Patagonia fosse alla fine del Campovolo, oltre il passaggio a livello incustodito, luogo proibito a noi bambini. Poi ci trasferimmo in Francia, a Saint-Étienne. Lì frequentai le scuole elementari e a casa divenne d’obbligo parlare francese. Così Patagonia diventò Patagoníe e io la immaginavo oltre il Rond Point della scuola, in fondo alla strada che scompariva dopo la curva. Alle scuole medie durante una lezione di geografia Patagoníe tornò ad essere Patagonia, ma solo per me. L’avevo dimenticata così come avevo dimenticato sia la lingua italiana che l’affettuosa minaccia di mio padre; sull’atlante geografico quella virgola di terra frastagliata rivolta verso l’Antartide credo mi abbia ammaliato.

Ed ora eccomi, Patagonia! Ho attraversato la steppa argentina in auto, il canale del Beigue in catamarano, i boschi di lenga in treno e ho camminato per sentieri sassosi fino alla base del ghiacciaio Upsala. Per ultimo ho cercato lui, sua maestà, il più famoso, studiato e ammirato in Argentina. La sua posizione è insolita, non in alta quota sul versante di una montagna ma a valle e poi fin dentro il lago Argentino per cinque chilometri; appartiene a quell’estensione immensa di ghiaccio patagonico, chiamata Hielo Patagonico Sur, che da nord a sud ricopre buona parte del confine tra Cile e Argentina.

il Perito Moreno — lato sud

La rottura del fronte è imminente. Siamo arrivati in tanti qui nel Parco Los Glacieres per assistere a questo fenomeno naturale e per rendergli omaggio. La passerella su cui camminiamo si snoda lungo la parete sud segnata da profonde fessure ingrigite simili a cicatrici. Dai suoi sessanta metri di altezza la mole del ghiacciaio ci domina in un silenzio gelato interrotto solo dai sordi scricchiolii che precedono il distacco. Nonostante il sole l’aria è gelida e il freddo che entra tra le pieghe dei pantaloni si fa sentire a ogni minimo movimento. Poi un allungarsi di suoni simile a uno stiramento di membra diventa boato e accompagna una massa di ghiaccio che con una caduta rallentata, quasi irreale, si tuffa in acqua da dove riemerge rapida trasmutata in una lucente pietra preziosa di cristalli blu.

il fronte del ghiacciaio adagiato sul lago Argentino

Assistere al distacco di un blocco di ghiaccio è un momento raro che comporta lunghe attese in condizioni meteo pesanti ma oggi è un giorno fortunato. Dopo aver scattato centinaia di foto, la maggior parte di noi sta rientrando nonostante il sole sia ancora alto e la luce quella giusta per un’ultima fotografia. Sto ancora cercando una buona inquadratura quando sento un rumore sordo, diverso dai precedenti, che suona come un richiamo.

Con la macchina fotografica in mano allungo il braccio…

«Ciao» gli dico «vuoi dirmi qualcosa?»

«Si, se non hai fretta…» risponde e continua

«Vorrei raccontarti la mia storia. Da quando sono nato tanto tempo fa non ho mai smesso di avanzare e retrocedere. Tutto è iniziato quando dal ghiaccio patagonico che ricopriva la terra si formarono i ghiacciai. Poi la terra si riscaldò e alcuni di noi decisero di ritirarsi ma io no, io rimasi qui per testimoniare quel tempo passato. Sono partito dalle cime più alte e sono scivolato fino a qui, affrontando molte difficoltà. Ho superato montagne piccole e aggirato quelle più alte che ho chiamato “nùnataks”. È stato inevitabile trascinare con me rocce e sedimenti che ho definito “morene”. La stanchezza ha provocato piccole crepe che hanno formato blocchi di ghiaccio chiamati “seracco”. Ho incontrato tanti amici che mi hanno fatto compagnia: il sole caldo in inverno, il vento fresco in estate , la neve che mi alimenta, la Croce del Sud e la luna che mi fanno compagnia nelle notti gelide.»

Mentre il gigante tace mi chiedo cosa ci faccia un ghiacciaio nell’emisfero australe a una latitudine che se trasferita nell’emisfero nord si collocherebbe tra Parigi e Londra. La soluzione mi arriva dal ricordo di quelle lontane lezioni di geografia. Come cantava Bob Dylan “la riposta soffia nel vento”, sono infatti i venti tra i 49 e 50 gradi di latitudine sud l’elemento determinante per la formazione del ghiacciaio; percorrono la terra costantemente da ovest verso est, attraversano il Pacifico senza incontrare ostacoli, si caricano di umidità e quando incontrano la barriera delle Ande risalgono la Cordigliera, si raffreddano, condensano e rilasciano pioggia e neve.

«Poi è successo qualcosa di inaspettato» continua a raccontare «in lontananza ho intravisto sul mio cammino uno sbarramento, una distesa di terra. Era la penisola di Magellano. Capii subito che non sarei riuscito a schivarla così come avevo fatto con le montagne: tra me e lei c’era il lago Argentino che me lo impediva. Mi sono fermato a pensare cosa fosse meglio fare, ma non avevo scelta e ho attraversato la parte più stretta, di fronte alla grande penisola. È stato un passaggio difficile e quando ho toccato terra mi sono reso conto di aver diviso il lago in due parti. Il Brazo Rico inizió ad esercitare una forte pressione per ricongiungersi con il Canal de Los Tempanos e per resistergli dovevo aggrapparmi a terra. Pensai allora: se nessuno aveva impedito il mio cammino fino a lì perchè io intralciavo quello del lago? Fu cosí che decisi di proporre un accordo; il Brazo Rico, il Canal de los Tempanos e io, il Perito Moreno decidemmo che mi sarei allontanato dalla penisola lasciando nel lago una parte di me, gli “iceberg”, che sarebbero andati alla deriva fino a sciogliersi e scomparire.

Un iceberg nel Lago Argentino

In questo modo ciascuno di noi è ritornato al proprio posto naturale e le acque del lago si sono riunite. La rottura del fronte di ghiaccio è una festa chiassosa e condivisa da tutto il parco, e si ripete ogni qualvolta l’inevitabile scivolamento mi porta a terra. Quello che non so è se la neve dei prossimi inverni sarà sufficiente a compensare le parti abbandonate… Ecco questo è ciò che volevo condividere con te.

Ma tu, come ti chiami?» aggiunge.

«Maria Teresa, Mittí per gli amci» rispondo «E tu, come mai non hai un nome tuo,? Ti hanno affibbiato quello di Francisco Moreno, il perito…» e aggiungo «Mi piacerebbe pensarti con un altro nome…se sei d’accordo, per gli amici, potresti essere GGG, ovvero il Grande Ghiacciaio Gentile. Cosa ne dici?» Non aspetto la risposta.

«Ciao» gli dico «Ciao grande GGG, devo andare. A presto».

L’aria è cambiata, non fa più freddo.

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